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venerdì 27 agosto 2010

Assunta, mille anni di fede sulle rive dello Stretto

DA MESSINA

MARIA GABRIELLA LEONARDI

L a chiesa di Santa Maria Assunta, nel vil­laggio messinese di Faro Superiore, fe­steggia in questi giorni i suoi mille an­ni di vita e i cento di elevazione a parrocchia. Un duplice anniversario che testimonia l’an­tica storia di fede di questo lembo di Sicilia. Nel 1010, quando nacque la «Chiesa Curata Santa Maria Assunta», Messina era sotto la dominazione musulmana già dall’anno 843, ma la parrocchia riuscì a dare una casa ai cri­stiani messinesi. Nell’878 l’ultimo vescovo messinese era fuggito a Costantinopoli e Mes­sina era diventata la testa di ponte della pre­senza islamica: nell’888 la flotta bizantina venne sconfitta dalle forze musulmane, nel 902 cadde Taormina e nel 961 fu la volta di Ro­metta. Bisognerà attendere il 1061 perché i normanni sbarchino in Sicilia e, sotto il con­te Ruggero, avvenga, a mano a mano, la rico­struzione ecclesiastica.

Le testimonianze più antiche conservate nel­la chiesa di Faro Superiore sono il fonte bat­tesimale del 1010 e una colonna recante la data del 1170. Il fonte battesimale, in parti­colare, recava la data del 1010: ma nel 1600, inaugurando una ricostruzione della chiesa, la data, con lo scalpello, venne cancellata per apporvi quella del 1600. Sino al terremoto che devastò Messina nel 1908, erano ben con­servati i registri parrocchiali a partire dal 1010: i curati che nei secoli si erano succeduti li a­vevano, infatti, gelosamente custoditi. Così si è appreso che la chiesa di Faro Superiore è la più antica della zona e a guidarla era un cappellano curato. Quando negli altri villag­gi messinesi vicini a Faro Superiore sorsero nuove chiese con i rispettivi curati, il cappel­lano di Faro Superiore prese il nome di «Cap­pellano curato maggiore» con giurisdizione spirituale sugli altri villaggi; tutti gli atti di bat­tesimo, matrimonio e morte venivano regi­strati nei libri in pergamena della parrocchia madre di Faro Superiore.

Agli inizi del 1900 monsignor Francesco Ali­zio, parroco di Faro Superiore fino al 1941, i­niziò a studiare quei registri e a ricostruire la storia della parrocchia. Dai suoi studi nac­que il libro Un Paese distrutto . Alizio fece in tempo a salvare dall’oblio la memoria di que­sti luoghi. Nel 1902, infatti, come racconta lo stesso parroco: «L’arcivescovo di Messina, monsignor Letterio D’Arrigo, ordinò di por­tare in parrocchia tutti questi preziosi registri, onde formare l’archivio parrocchiale, e con cura li ho conservati nel casserizio della par­rocchia. Ma successo il terremoto del 1908 le macerie a monti caddero sulla sacrestia, schiacciarono il casserizio, maciullarono tut­ti i registri, poi la pioggia completò l’opera le­tale di disfacimento. Mi sono rimasti i più moderni che, per ragione di confronti e di ri­cerche, ho tenuto sempre in casa mia». Ali­zio era però arrivato a raccogliere numerose informazioni, tra cui l’elenco di tutti i cap­pellani succedutisi a Faro Superiore a parti­re dal primo, Tito Ergatico, curato dal 1010 al 1036.

In questi mille anni più volte l’edificio sacro è stato distrutto e poi ricostruito a causa dei terremoti che hanno colpito la zona nel cor­so dei secoli: nel 1693, nel 1753, nel 1894 e nel 1908. Inoltre il villaggio, trovandosi tra il mare Tirreno e lo Ionio, è stato più volte og­getto di aggressioni e razzie. Poche quindi le testimonianze storiche rimaste a Faro Supe­riore, come in tutta Messina. Ma ogni volta la chiesa di Faro Superiore è stata ricostruita, segno della perseverante fedeltà a Dio degli abitanti di questo villaggio messinese, fedeltà che ha superato la prova del tempo.

27 agosto 2010

mercoledì 18 agosto 2010

Il riscatto di Gela comincia in palestra

DA GELA (CALTANISSETTA)

MARIA GABRIELLA LEONARDI

« V i facciamo vedere co­sa potremmo fare qui». Con questo spi­rito un centinaio di ragazzi, nel quartiere Macchitella di Gela, si so­no armati di scope e zappe e han­no ripulito una palestra abbando­nata, un tempo di proprietà dell’E­ni. A guidarli c’era don Giuseppe Fausciana, direttore del servizio di pastorale giovanile della diocesi di Piazza Armerina, nonché vice-par­roco a Macchitella, che insieme ai ragazzi ha voluto simbolicamente “occupare” la struttura per sensibi­lizzare la cittadinanza e le istituzio­ni su come quest’opera potrebbe essere utile per i ragazzi di Macchi­tella.

La palestra da una decina d’an­ni è passata dall’Eni al Comune ed è finita nell’abbandono e preda dei vandali: sterpaglie ovunque, porte divelte, vetri rotti e muri imbratta­ti. Eppure questa struttura potreb­be ospitare numerose attività gio­vanili.

Nel quartiere, il punto di riferimen­to dei ragazzi è il “Movimento gio­vanile Macchitella”, nato dalla fu­sione del Movimento giovanile par­rocchiale e del Movimento giovani­le salesiano. Il Mgm comprende la società “Macchitella Calcio”, una cooperativa artistico teatrale e una scuola di danza, canto e recitazio­ne che produce musical. Inoltre, ha fondato una scuola della Parola con il metodo della lectio divina e gesti­sce la formazione e la catechesi per preadolescenti, adolescenti e gio­vani universitari aggregando circa 800 ragazzi.

«La chiesa qui a Gela è un rifer­mento educativo – spiega don Fau­sciana che è l’assistente spirituale del Mgm –. La palestra – aggiunge il sacerdote – è stata “occupata” sim­bolicamente dai ragazzi e pulita per dare un segnale positivo di volontà di stare nel territorio con una re­sponsabilità verso il bene comune». L’amministrazione comunale di Ge­la, guidata dal sindaco Angelo Fa­sulo, intende affidare la gestione della palestra attraverso un bando pubblico e, proprio ieri, ha trovato un accordo con il Mgm per trovare una formula che garantisca la fina­lità sociale alla struttura sportiva. «Il progetto portato avanti in questo quartiere si chiama “Macchitella Città dei Ragazzi” – spiega don Fau­sciana – è molto più complesso ri­spetto alla semplice gestione di u­na struttura pubblica in disuso. Si tratta di realizzare una convergen­za dei tre livelli: urbanistico, socia­le e politico per la funzionalità dei beni, lo sviluppo delle professiona­lità a favore della collettività e la de­cisionalità nell’indirizzo educativo. Per realizzare questo progetto biso­gna mettere in relazione il patrimo­nio pubblico con un piano educa­tivo pluriennale e non episodico. In merito all’affidamento della pale­stra ex Agip manifesto la mia fidu­cia nella capacità di ascolto e di dia­logo che caratterizza il Sindaco e l’amministrazione».

A fianco dei ragazzi di Macchitella anche il Movi di Gela (Movimento per il volontariato italiano) che con il presidente Enzo Madonia affer­ma: «Quando si lavora per il bene comune le comunità crescono e se la politica come in questo caso rie­sce a trovare le soluzioni piuttosto che gli ostacoli i cittadini impare­ranno presto ad avere fiducia nelle istituzioni».
18 agosto 2010

Il riscatto di Gela comincia in palestra - Avvenire

Il riscatto di Gela comincia in palestra - Avvenire

martedì 10 agosto 2010

«Don Sturzo, apostolo della carità politica»


DA CALTAGIRONE (CATANIA)

MARIA GABRIELLA LEONARDI

L a diocesi di Caltagirone ha solennemente concluso, sabato scorso, l’intenso «Anno sturziano», indetto in occasione del 50° anniversario della morte del servo di Dio don Luigi Sturzo. Nella Cattedrale di San Giuliano l’arcivescovo Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, ha presieduto una celebrazione eucaristica cui hanno preso parte anche i vescovi di Caltagirone Calogero Peri, di Acireale Pio Vigo, di Piazza Armerina Michele Pennisi.

Presenti anche i pronipoti di don Sturzo e il presidente nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo, Salvatore Martinez.

Il vescovo Peri: «Evento di famiglia»

Tanta l’attesa per la celebrazione di sabato: «È mio vivo desiderio – ha affermato Peri – che tale evento sia celebrato da tutta la comunità diocesana come un evento di famiglia, che testimoni il nostro legame con don Sturzo. Un modo per esprimere il nostro apprezzamento e la nostra viva attenzione all’insegnamento e all’opera di questo servo di Dio che ha servito e onorato la nostra Città, la nostra Chiesa, il nostro Paese». Amato, nell’omelia, ha poi delineato la figura di Sturzo: «Senza voler in alcun modo anticipare il giudizio ufficiale della Chiesa – ha detto il prefetto del Dicastero delle cause dei santi – devo confessare che la lettura della vita e degli scritti di don Sturzo ha costituito per me una piacevole sorpresa, facendomi scoprire uno straordinario ministro di Dio, che ha coniugato Vangelo e politica, traducendo il suo ministero sacerdotale in carità politica. È un vero peccato che don Sturzo resti ancora poco conosciuto in Italia, quasi confinato in una sorta di secondo esilio». Il presule ha messo in luce come l’opera e le intuizioni sturziane siano ancora di grande ispirazione per tutti, e soprattutto per quanti desiderano tradurre la verità evangelica nella concretezza dell’azione sociopolitica. «La sua visione – ha affermato Amato – non era ideologica, ma teologica. Era la fede a guidarlo e orientarlo nella sua avventura politica, consapevole del fatto che la fede produce giustizia. Pur immerso nella disputa sociopolitica, la sua anima rimaneva profondamente sacerdotale». L’arcivescovo ha inoltre inquadrato don Luigi Sturzo nella schiera dei «santi sociali» siciliani, benefattori dell’umanità bisognosa, come il beato Giacomo Cusmano, sant’Annibale Maria di Francia, il servo di Dio Nunzio Russo, il servo di Dio Antonino Celona, il servo di Dio Vincenzo Morinello, il beato Giuseppe Benedetto Dusmet.

I tre pilastri della sua «profezia»

Tre i pilastri della profezia politica sturziana indicati da Amato: il primo è «l’affermazione che la vera vita è quella dello spirito, per cui la vita di grazia non è una sovrapposizione, ma una trasformazione dell’esistenza e dell’attività umana». Il secondo pilastro: «la considerazione che il cristianesimo è l’unica vera rivoluzione della storia umana, perché edifica senza distruggere, rinnova nella continuità, promuove la comunione».

Infine, il terzo pilastro, «la concezione della politica, come attività di servizio, che unisce e costruisce, e non di potere, che, invece, prevarica e divide».
Avvenire - Catholica 10 agosto 2010

martedì 3 agosto 2010

Messina, viene esposta l’antica icona mariana


MESSINA. Sarà esposta al pubblico, oggi e poi il 7 e l’8 agosto, nella cripta della Cattedrale di Messina, l’antica icona con la preziosa manta d’argento della Madonna della Scala, custodita dai padri Gesuiti di Messina. Ieri, nella sala capitolare della Cattedrale, l’opera è stata presentata dall’arcivescovo di Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela, Calogero La Piana, dall’architetto Rocco Scimone e da Grazia Musolino, entrambi della Soprintendenza ai beni culturali. L’antico quadro della Madonna della Scala giunse dall’Oriente, su una nave, a Messina, in epoca remota. La tradizione narra che al momento di ripartire la nave non riuscisse a lasciare il porto e per questo i marinai si rivolsero all’arcivescovo di Messina che decise di trasportare in processione l’icona a riva. Ma una volta a riva non c’era verso di smuovere il quadro. Per questo si decise di collocarlo su un carro trainato dai buoi e di lasciare che fosse Dio a condurli. Così avvenne e il carro si fermò dinanzi alla chiesa messinese di Santa Maria della Valle, ribattezzata poi Santa Maria della Scala. All’icona sono attribuiti numerosi prodigi e, nel corso della storia, essa è stata portata spesso in processione nei momenti più difficili della città, come pestilenze o terremoti. Ogni anno si rinnova l’antica tradizione del pellegrinaggio alla chiesa che quest’anno si è svolto ieri. Oggi invece, memoria liturgica della Madonna della Scala, verrà esposta l’icona che è una copia, risalente al XVII secolo, dell’originale. «Si tratta della prima volta – ha ricordato La Piana – che viene offerta alla fruizione della città». In particolare oggi sarà al centro della conferenza tenuta dalla dottoressa Musolino nella cripta della Cattedrale cui seguirà un concerto del coro polifonico «Luca Marenzio». L’icona con la manta d’argento della Madonna della Scala è frutto della fiorente tradizione di argentieri messinesi che – spiega Musolino – «reinterpretarono le mante bizantine dando un impatto monumentale, realizzando mante a grandezza naturale e anche superiore. Mentre i bizantini tendevano ad appiattire lo spessore della manta, i messinesi danno rilievo. Non esistono opere analoghe nel resto della Sicilia».
Maria Gabriella Leonardi
3 agosto 2010