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lunedì 26 maggio 2008

«No alla criminalità». A Gela sfilano tremila studenti

Resistere all’individualismo, alla violenza, alla solitudine per impegnarsi nel volontariato e nella città.Vogliono fare più rumore dei loro coetanei al centro delle cronache nere i tremila studenti di Gela, di tutte le scuole superiori che, insieme alle associazioni di volontariato, ieri, sabato, hanno dichiarato la loro volontà a costruire legami veri basati sulla solidarietà. L’occasione nella città nissena, era data dalla giornata dell’arte, della solidarietà e della creatività studentesca e del volontariato, intitolata, riprendendo una canzone di Jovanotti, 'Io lo so che non sono solo'. A organizzare l’iniziativa il coordinamento delle 32 associazioni di volontariato della città, guidate dal MoVi e sostenute dal CeSVoP (Centro di Servizi per il Volontariato di Palermo), il coordinamento degli studenti delle scuole superiori e la consulta provinciale degli studenti. Nella piazza Santa Teresa Valsè, nel quartiere Macchitella, i giovani hanno proclamato la loro 'rivoluzione' con la musica, con i cortometraggi, con la break dance, con dibattiti e con murales.
Dal 2004 a Gela è iniziato un lento lavoro di coordinamento del volontariato. I primi risultati sono una rete della società civile che chiede trasparenza, nuovi strumenti di partecipazione dei giovani, spazi e risorse per l’educazione, espressione di una città che vuole togliersi il marchio di città mafiosa.
«I giovani gridano che ci sono e reclamano accanto adulti seri, motivati, capaci di mettersi in ascolto e di metterli al centro dei loro impegni - ha dichiarato Enzo Madonia, responsabile del MoVi e del CeSVoP a Gela - . Ancora oggi le risposte alla crisi educativa sono scarse perché frammentate e con pochi contenuti, non coinvolgenti e soprattutto precarie. Non si tratta di costruire qualcosa per loro, ma con loro. Ma questo richiede una politica matura e capace di promuovere la dignità umana piuttosto che continuare a creare precariato e assistenzialismo».
«Non ha senso partecipare a marce antimafia o lavorare gratuitamente per qualche ora in un terreno sequestrato ad un mafioso se poi si consuma droga e si fanno acquisti in negozi che pagano il pizzo, aumentando il potere economico della mafia - ha detto ai giovani, monsignor Michele Pennisi, vescovo di Piazza Armerina - . Il volontario è chiamato a vivere la propria esperienza in modo coerente con i valori che fondano l’agire volontario, che assume inevitabilmente una connotazione etica che assume i volti della responsabilità e del servizio solerte e disinteressato che deve caratterizzare tutta la propria vita».
Ieri la giornata dell’arte, della solidarietà, e volontariato
(pubblicato su AVVENIRE del 25 maggio 2008)

martedì 20 maggio 2008

Catania L’iniziativa controcorrente: portare 20 bambini a scuola

Mentre in Italia imperversa la caccia ai rom, a Catania, dall’inizio dell’anno scolastico, la Caritas diocesana è impegnata a portare a scuola 20 bambini rom. Un’iniziativa controcorrente, nata in tempi in cui i rom non interessavano quasi a alcuno. Sono mesi ormai che ogni mattina un furgoncino della Caritas va a prendere i bambini nomadi che vivono in uno dei campi nomadi catanesi. Da lì li accompagna in sette scuole elementari della città: portarli in una sola scuola sarebbe stato più semplice ma si sarebbe corso il rischio di creare una scuola­ghetto. All’ora dell’uscita, il furgoncino fa il giro delle scuole per prendere i bambini e portali in un centro Caritas in via Santa Maddalena, nel centro storico di Catania. Qui i bimbi pranzano e poi fanno i compiti. Li aiutano una quindicina di persone tra volontari, ragazzi del servizio civile, operatori e una mediatrice culturale. «La caccia alle streghe è frutto dell’assenza di relazione ­spiega il direttore diocesano della Caritas di Catania, padre Valerio Di Trapani - il più grande risultato del nostro progetto è stata invece la possibilità di accostare questi bambini e le loro famiglie alle realtà del territorio, e questa relazione è stata assolutamente pacifica». La Caritas, prima dell’inizio dell’anno scolastico, ha contattato l’osservatorio integrato d’area, di cui fanno parte i presidi delle scuole locali: l’iscrizione dei bimbi rom è stata a lungo preparata.
La Caritas ha anche fornito il materiale didattico ai piccoli rom e agli incontri scuola­famiglia vanno anche i suoi operatori; oltre che ai bambini, i volontari dedicano diverse attività anche alle rispettive famiglie. Tra le materie del dopo-scuola c’è anche l’educazione alimentare e l’igiene: d’altra parte se questi bimbi non sono ben curati i compagnetti starebbero alla larga. Com’è andata?
«Abbastanza bene- risponde padre Valerio - qualcuno dei bambini ha anche fatto la recita di Natale, qualcun altro è andato in gita scolastica».
Tuttavia, in questi giorni difficili, padre Valerio non nasconde le sue paure: «L’aria che si respira è impregnata di odio e di vendetta. Ho paura che questa ferocia coinvolga anche i bambini rom che, seppur in maniera discontinua, hanno scelto di frequentare la scuola a Catania. Ho paura anche per Daniel, Lucian e i tanti altri amici che, sostenuti dai volontari della Caritas, con tenacia insegnano ai loro figli il valore del rispetto della famiglia, delle regole di buona educazione ma che vedono profilarsi tempi terribili». Padre Valerio non condivide quello che sta accadendo: «esprimo un forte dissenso contro la caccia all’untore che caratterizza questi giorni. Io non ci sto agli sgomberi coatti e alle 'soluzioni estetiche'». A Catania, malgrado quanto viene fatto, resta l’amaro per quanto potrebbe farsi: Caritas diocesana e Croce Rossa,da anni, infatti, propongono al Comune di allestire un’area di sosta per rom: in cambio di un alloggio più dignitoso ai rom che avrebbero aderito al progetto sarebbe stato chiesto il rispetto della legalità. Il comune di Catania aveva anche individuato un’area da attrezzare con luce e acqua; un intervento non troppo costoso e realizzabile in poco tempo per cui Caritas diocesana e Croce rossa potrebbero mettere a disposizione volontari e container. Quello che è mancato in questi anni è stata la volontà politica.
«Siamo stati sempre pronti a sbracciarci le maniche per dare maggiore dignità ai rom e per favorire una reale e pacifica integrazione, rispettosa delle regole- aggiunge padre Valerio -. Ma purtroppo oggi è più facile fare discorsi qualunquistici e banali».
MARIA GABRIELLA LEONARDI
(Pubblicato su AVVENIRE del 16 maggio 2008)

venerdì 16 maggio 2008

Santuario della Vena, un Rosario di 60 metri

L a fantasia del bene crea nuove strade per ravvivare la fede. Come accade nel santuario di Santa Maria della Vena, nell’omonima frazione di Piedimonte Etneo, nel Catanese. Qui il mese di maggio è stato aperto con una celebrazione mariana, in piazza, attorno a una coro- na del Rosario «gigante» lunga 60 metri e colorata con i colori dei cinque continenti.
Erano presenti l’arcivescovo di Acireale, Pio Vigo, i sacerdoti e i fedeli della zona. Il Rosario gigante, oltre ad abbellire la piazza, è diventato un modo singolare per celebrare la preghiera mariana per eccellenza: grazie, infatti, al movimento attorno alla corona, tante persone si sono sentite loro stesse una «corona vivente». Ma non è tutto giacché, come ha spiegato il rettore del Santuario, don Carmelo La Rosa: «Diverse realtà hanno già dato l’adesione al nostro invito di allargare questa corona nel territorio, realizzando i venti misteri del rosario, con stele di pietra, lungo le due strade che immettono al Santuario. Creeremo così un 'santuario diffuso' e un’area sacra che accolga i pellegrini».
Le iniziative del santuario di Vena, nascono dall’esperienza del rettore, don Carmelo La Rosa, per tanti anni missionario in Albania. In quel contesto il sacerdote sperimentò la desolazione portata nella vita di fede dalla dittatura comunista e dovette lavorare alacremente per rifondare dal nulla la realtà ecclesiale. In Italia il secolarismo e talune «tiepidezze» dei credenti sembrano togliere vitalità alla fede. Ed è per questo che un missionario fortificatosi in un contesto difficile è stato chiamato a rilanciare quel piccolo tesoro di fede, storia e arte che è il santuario di Vena. La chiesetta, alle pendici dell’Etna, custodisce l’icona della «Teotokos Glicofilusa» di Vena.
Le analisi al radio carbonio in corso dovranno stabilire se l’immagine risale al VI secolo dopo Cristo, come vuole la tradizione. In caso positivo il Santuario sarebbe uno dei più antichi d’Europa. Tra i «segni» di cui è stato testimone questo luogo e che il Santuario custodisce c’è la «Madonna del fuoco», una statua realizzata con sacchi di iuta e gesso. In occasione dell’eruzione dell’Etna del 1865 i fedeli terrorizzati la portarono dinanzi al fronte lavico che minacciava il paese. Si racconta che l’allora rettore, don Michele Cantone, incitava tra le lacrime i fedeli al pentimento e ad avere fiducia nella Madonna. All’improvviso il fuoco, sospinto da un vento furioso, investì la sacra immagine, arroventandone il viso tra le urla dei presenti. Dopo pochi secondi, tornò la calma. E la lava si fermò.
Maria Gabriella Leonardi
(pubblicato su Avvenire del 16 maggio 2008 Catholica)