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martedì 16 settembre 2008

Catania, solidarietà dal basso per aiutare i poveri la crisi del Comune si ripercuote su italiani e stranieri

CATANIA E dopo il “caso Napoli” arriva il “caso Catania”. Il Comune del capoluogo etneo, infatti, è sull’orlo del dissesto finanziario, evento che comporterebbe, tra l’altro, l’innalzamento dei tributi e delle addizionali locali al massimo, la diminuzione dei servizi, il licenziamento di lavoratori e i creditori del Comune pagati con percentuali da concordato fallimentare, con conseguente sventura per l’indotto di imprese che lavorano con le commesse del Comune. Il tutto in una città già carica di problemi. Il Sindaco Raffaele Stancanelli, ieri, venerdì, in una tv locale ha auspicato che il Governo possa approvare, a favore di Catania, un piano straordinario – una sorta di anticipazione, non soldi a fondo perduto - che permetta di chiudere i disavanzi del 2003,2004 e del 2006 che ammontano a circa 100milioni di euro. Se entro il 31 dicembre il Comune non riuscirà a coprire questi disavanzi, dovrà dichiarare giuridicamente il dissesto. Eppure, ancora più preoccupante del dissesto economico, c’è quello che il direttore della Caritas diocesana di Catania, padre Valerio Di Trapani, in una sua lettera aperta definisce “dissesto sociale”. «Sono molto preoccupato – scrive Padre Valerio - per le gravi notizie che si rincorrono sullo stato finanziario del Comune di Catania e sono consapevole che un eventuale dissesto, provocherebbe disagi a molte persone e soprattutto allungherebbe le liste di coloro che conoscono la strada quale ultima stazione della loro personale via crucis. L’esperienza di ascolto e di servizio che condivido con i volontari della Caritas diocesana, fa crescere la mia preoccupazione e mi accorgo che, se il pericolo di dissesto finanziario può essere scongiurato con apprezzabili risoluzioni da Roma, il problema del dissesto sociale è già una realtà dolorosa cui si può provvedere soltanto attraverso una vigorosa lotta alla povertà, corale e non delegabile. Proprio in questi giorni – prosegue Padre Valerio - mi sono accorto che il nostro centro di accoglienza notturna che accoglie persone senza dimora, ospita ormai in prevalenza cittadini italiani. Il loro numero è considerevolmente aumentato e le cause del loro disagio sono riconducibili sempre allo stesso motivo: nessuno ha dato loro una mano. Non si è trovato un sottoscala, un vano per accogliere una persona! ». Secondo il direttore della Caritas la chiusura è un atteggiamento tipico dei momenti di crisi, quando si sceglie di arroccarsi nel poco che si ha. Però c’è un’altra strada: aprirsi al prossimo, come ha fatto San Francesco. «Il Comune è l’ente che fornisce più lavoro a Catania – spiega padre Valerio -. Diversi imprenditori, sarti che lavoravano con le commesse del Comune sono andati in fallimento e si sono rivolti alla Caritas. Un eventuale dissesto finanziario innescherebbe meccanismi di lotta aspra. Già ora ci sono famiglie che non riescono a immaginare un futuro migliore». Tuttavia, una via d’uscita i catanesi la possono trovare in una rinnovata solidarietà, la città si può salvare a partire dal basso: «Usciamo insieme la sera – invita padre Valerio- per girare la città per portare alle persone in strada un po’ di cibo, una bevanda e tanto affetto. Partecipate con noi al progetto educativo proposto dai nostri centri giovanili a Librino, il quartiere della periferia della nostra città. Ascoltiamo insieme le storie di famiglie in dissesto, aiutiamo i bimbi dei poveri a studiare, accogliamo in un caloroso abbraccio ogni persona italiana o straniera, solidarizziamo con gli ultimi. Non sono nostri nemici ma fratelli».
Maria Gabriella Leonardi
(pubblicato su Avvenire del 13 settembre 2008)

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